Amsterdam.
Cosa io ci possa fare alle 1.30 di notte alla periferia di Amsterdam, non ne ho idea. Cosa ci possa fare solo in mezzo ad edifici industriali con solo qualche autobus che passa silenzioso a luci spente rientrando in deposito, cerco di non farmelo passare per la testa. Atterrato ad amsterdam poche ore prima, passato dal centro, dal famoso museo di Van Gogh ora mi ritrovo dalle parti di Haarlem. Solo ad una fermata di autobus. Io. E la mia valigia.
Inizio a pensare alle bizzarre coincidenze della vita. Buffe e ridicole. Isteriche a tratti. Ma ogni cosa che si consuma in un lieto fine non può condurre a isteria per definizione.
Quello che ho chiaro dopo stasera è che di certo l'insonnia forzata può generare nella maggior parte dei casi:
A - Narcolessia progressiva
B - Calo e riduzione di attenzione e concentrazione
Io, che mi ritengo una persona fortunata, riesco a cogliere insieme entrambi i punti A e B unendoli nel più mistico punto C. Meglio conosciuto come, rincoglionimento più totale. E' cosi che si sceglie di dormire un'ora a notte per dare uno strascicato arrivederci alla terra natia. E' cosi che si sceglie di vivere per dieci ore in aeroporto aspettando una coincidenza in ritardo. La vita, e la successione di eventi che ne consegue, è fondamentalmente pazza, caotica, ma quello che ci si diverte a pensare è che in fin dei conti un ordine in realtà ci sia. Non una specie di ordine divino, ma un solo semplice ordine delle cose. Che non è stocastica, ne probabilistica, ne statistica. Solo un ordine.
Fumo la sigaretta con un gusto particolare. Sorrido, sorrido ma nessuno mi vede sorridere, perché in fin dei conti alla periferia di Amsterdam di un freddo sabato sera di inizio estate, non c'è assolutamente nessuno. Ma io sono li. Olandese da qualche ora. E proprio mentre osservo l'orario degli autobus, mentre un ennesimo tiro di sigaretta spinge giù del fumo che forse tra degli si tramuterà in malattia, in quel momento qualcuno mi viene alle spalle e spinge le sue ginocchia contro le mie.
Penso a quand'ero bambino, o al classico scherzo del cazzo da fare con gli amici, a come faccia piegare violentemente le ginocchia e far scaturire qualche stridula stupida risata. Buffetto. Sorriso. Cazzata. Ma poi penso, che in realtà non ho poi cosi tanti amici ad amsterdam, e soprattutto non ne ho nella periferia, ma ancor piu non ne ho essendo atterrato da qualche ora.
Cosi mi giro. E c'è lui. Il mio autista preferito. Lui di origini cilene, con la sua pancia spropositata, il suo baffo lungo ed il suo pizzetto ancora più lungo. Lui che in fin dei conti è stato quello che mi ha condotto si qui stasera. Io e lui nel bus a luci spente perché in realtà il bus non era più in servizio. Lui che mi ha scorrazzato per Amsterdam in piena notte dimentico del suo turno. Quella che fino a pochi minuti fa era il mio autista olandese-cinese preferito, ora è un uomo che ha terminato di lavorare e torna a casa dalla sua famiglia. Gli stringo la mano con forza e lo abbraccio.
"Grazie" gli dico a bassa voce.
Lui mi guarda sorridendo. Mi dice di legarmi quello che ho ai piedi e ai polsi cosi da averlo sempre accanto. Poi prende il primo autobus e se ne va.
Lo guardo, mi accendo un'altra sigaretta e penso che questa città mi ha già tirato un brutto scherzo, e alla fine mi costringerà ad innamorarmi di lei.
Uno di tre
Ogni cosa ha un'inizio, come ogni cosa ha una fine. Ma talvolta, dopo questi due inevitabili passi, ne segue un terzo. La rinascita. Unoditre da oggi tenta di rinascere, un po' perché i suoi tre autori hanno scelto di ritrovarsi dopo lungo tempo, un po perché dopo essersi persi per chissà quali strade del mondo, tireranno fuori qualcosa di diverso. O almeno si spera. Buona lettura.
domenica 29 maggio 2011
sabato 16 aprile 2011
sabato mattina
Sabato mattina ore 06.20, mi sento riposato. Non sono uno di quelli che alle 6.20 del sabato mattina sono al bar a fare colazione dopo una notte passata in discoteca, nè tantomeno sono uno di quelli che al sabato mattina alle 06.20 si sveglia perchè è abituato così. Mi chiamo Paolo e da piccolo volevo fare lo scrittore. Quando compii otto anni mio nonno mi accompagnò in libreria per farmi scegliere il suo regalo, un ragazzino di otto anni in libreria è un pò come fosse sotto tortura e invece io mi sentivo felice perchè mi è sempre piaciuto l'odore delle pagine nuove. Scelsi un libro per la copertina rossa, il mio colore preferito, poi mio nonno ne scelse un altro per il contenuto. Quando avevo otto anni andavano molto di moda i libri horror per ragazzi, "i piccoli brividi", poi c'erano i libri per i ragazzi un pò più "preparati", "il battello a vapore". Ricordo che il mio primo libro mi fu imposto dalla maestra di italiano, nonchè proprietaria dell'unica libreria nel paese nel quale vivevo, ed era un battello a vapore della fascia azzurra. Quindi cominciai con il battello a vapore per poi passare rapidamente ai piccoli brividi. Sicuramente qualcuno per me capì che non ero abbastanza "preparato". Comunque, dicevo, il diciotto ottobre di parecchi anni fa mi ritrovai in libreria con mio nonno e due libri per le mani: uno con la copertina rossa e l'altro che si chiamava il piccolo principe. Li lessi entrambi nelle vacanze di natale e quello con la copertina rossa (non so se si è capito ma non ricordo assolutamente il titolo) mi fece capire che da grande avrei fatto lo scrittore mentre l'altro è diventato il mio libro preferito. Ore 6.30 di sabato 16 aprile. In casa sono l'unico sveglio sia perchè è sabato mattina e sono le 06.30, sia perchè vivo da solo. Ogni tanto dimentico di essere stato mollato dalla mia amante, convivente, adorata Sara. Non so se è un riflesso incondizionato oppure se la mia memoria ha rimosso così velocemente l'accaduto. E' successo circa un mese fa ma in realtà erano anni che la nostra relazione aveva dei bassi, mai alti. Continuava ad incolparmi, a darmi dell'incapace, inutile, un fallito senza soldi. Effettivamente lo sono, anzi, lo ero. Come detto ho sempre sognato di fare lo scrittore e, come ben sapete, uno scrittore, che ancora non è uno scrittore, per mangiare deve avere un secondo lavoro. Io, invece, volevo fare lo scrittore a tempo pieno. In poche parole lei lavorava tutto il giorno dandomi la possibilità di sognare e lo faceva per amore. Quando poi si è innamorata di un altro, la stronza, ha iniziato ad odiarmi ed accusarmi. Fino al mese scorso, esattamente il giorno più bello della mia vita, quando per festeggiare sono tornato a casa con lo Champagne più costoso del bar sotto casa. Entrando ho trovato le mie valigie pronte. "Amore perchè hai fatto le valigie?" "Perchè tu te ne vai da questa casa. Il nostro rapporto è finito ed io ho deciso di comprare la tua parte di casa dato che dall'anticipo che ti sei fatto prestare dai tuoi genitori ad oggi non hai mai pagato una rata di mutuo" Aveva ragione, la nostra era una storia che andava avanti da una vita, circa dieci anni e, tre anni prima, quando decidemmo di comprare un misero bilocale alle porte di Milano, i miei mi prestarono 50 mila euro per bloccare l'appartamento. Sara anticipò gli altri 50 mila euro e si intestò il mutuo. Da allora io non avevo mai pagato una rata. "Mi stai lasciando? Cioè, a prescindere dalla casa, dalle valigie e da tutto, mi stai lasciando?" "Sei un patetico stronzo che se n'è approfittato di me per tutti questi anni, ora te ne vai e mi lasci l'appartamento. Ecco qui un assegno con i tuoi 50 mila euro così finalmente i tuoi genitori potranno riavere in un colpo solo sia il figlio a casa che i loro soldi". Sbattuto fuori da una casa che non avevo arredato io e nella quale, da un pò di tempo, mi sentivo un estraneo. Mi ritrovai con 350 mila euro, una bottiglia di Champagne e tutti i miei vestiti racchiusi in due valigie vecchie. Ah... quasi dimenticavo. Quello era il giorno più bello della mia vita perchè finalmente la casa editoriale alla quale avevo mandato i miei scritti mi aveva ingaggiato con un contratto da 300 mila euro per i primi cinque libri che avrei pubblicato in cinque anni con loro. I primi tre li avevo già consegnati e sarebbero usciti in ordine nei prossimi tre anni e così avevo altri cinque anni per scrivere due libri. In più, oltre quei 300 mila euro, il contratto prevedeva il 50% di tutti i chachet delle varie trasmissioni o pubblicità alle quali avrei partecipato. In poche parole la brava Sara mi ha portato alla fama per poi mollarmi. Ore 06.40 di sabato mattina e accendo la mia prima chesterfield della giornata. Un pò troppo presto per fumare, lo so, ma devo smaltire la sbornia di ieri sera. Da quando ho cambiato casa e soprattutto zona tante mie abitudini si sono stravolte tranne quella di andare il venerdì sera al supermercato. Essendo io un abitudinario ed avendo la macchina, il venerdì sera vado a fare la spesa al supermercato dietro il mio vecchio appartamento, quello che ora è solo di Sara. Certe cose accadono perchè devono accadere, quindi ero preparato ma quando si dice il classico "prima o poi doveva succedere" in fondo si spera sempre nel "poi" e mai nel "prima". Per farla breve, proprio al reparto che odio (in realtà lo odio da ieri sera, non ricordo di avere mai detestato così tanto i surgelati prima), c'era Sara con il suo nuovo (o vecchio?) ragazzo che sceglievano il gelato da assaporare sul divano davanti ad un film. In un primo momento la strana voglia di andarle incontro si è impossessata della mia ragione ma per fortuna ho avuto il tempo di cambiare strada prima che fosse troppo tardi. Nelle ultime due settimane il mio primo libro è in tutte le vetrine e, grazie a questa pubblicità, sta riscuotendo notevole successo. Nonostante ciò rimango convinto che agli occhi di Sara sono il solito buono a nulla che si gode un successo momentaneo. Un incontro quello di ieri che mi ha portato ad acquistare la mia carne preferita, il mio vino preferito, il mio whiskey preferito. Che soprattutto mi ha portato a mangiare la mia carne preferita, a bere tutta la bottiglia del mio vino preferito e ad assaggiare gran parte della bottiglia del mio whiskey preferito. Ragione per cui alle ore 06.50 del sabato mattina ho appena spento la mia prima sigaretta. In certi momenti mi sento come il personaggio principale del mio romanzo, un professore universitario che di notte fa il serial killer, ucciderei senza scrupoli per soldi e per soddisfazione. L'idea per il romanzo è nata da tutti i romanzi polizieschi che ho letto fin da quando ero bambino, improvvisamente mi son detto: "ma perchè non essere dalla parte del cattivo?", l'obiettivo è quello di far appassionare il lettore al personaggio che è il classico "cattivo odioso" di tutti gli altri romanzi. Per adesso, la prima storia è piaciuta/sta piacendo e ovviamente il "cattivo odioso" l'ha fatta franca. Ore 07.10 è durata fin troppo la prima doccia della giornata. Ho deciso di andare al mio nuovo "solito bar" per fare la prima colazione della giornata, di solito ne faccio due una alle sette e l'altra verso le unidici. Prima di andare al bar, al solito con le cuffie, mi dirigo verso l'edicola per comprare il quotidiano, il bravo I-phone, però, nel tragitto interrompe la solita canzone che uso in questo periodo per svegliarmi, Sweet home Alabama, regalandomi il "rumore" della mia solita suoneria (un abitudinario adora la parola "solito/a"). Il primo pensiero è il "chi cazzo rompe alle sette di mattina" il secondo è "non mi va di prendere il telefono in mano quindi me ne fotto e rispondo direttamente con il bottone delle cuffie". "Pronto" "Ciao, ti ho visto ieri sera al supermercato. Non sono riuscita a dormire stanotte." La stronza. In realtà la ex stronza, quante cose possono cambiare con una semplice telefonata. Ovviamente la amo ancora, nonostante tutto. "Ciao Sara, come stai? Anche io ti ho vista ieri. Sai che non lui non è male!?" "Non iniziare a fare lo stronzo. Ti ho pensato tutta la notte, ho pensato che non ti ho ancora chiesto scusa dopo aver letto la tua lettera meravigliosa". Colpo basso. Avevo dimenticato di dire che i 50 mila euro ai miei li avevo restituiti con i soldi dell'ingaggio e che il suo assegno gliel'avevo ridato insieme agli atti del notaio con i quali attestavo che la mia parte di appartamento l'avevo intestata a Sara Bonatti. E poi, romantico come sono, le avevo riassunto la nostra storia in un racconto che avevo allegato, così, tanto per non passare inosservato. n.d.a. (continuerà, siate fiduciosi!)
sabato 9 aprile 2011
o mi lasci o mi sposi
Quando due menti contorte si incontrano in un strano pomeriggio di primavera, un insieme di preconcetti previssuti, vite di altri calpestate in sentieri consumati. L'ennesimo leader della compagnia che, nonostante la noia mortale di un gruppo annoiato, continua a sollecitare con la solita routine. In poche parole, la vita non è sempre fatta di alti e bassi. C'è chi sceglie per una vita fatta di medi, una piccola oscillazione ogni tanto ma mai uno tsunami, non alti e bassi ma linee rette e piccolissime curve pianificate da tempo.
Alice studiava filosofia nella più prestigiosa università di Milano, bassina con poca voglia di novità, la classica studente che compra tutti i libri il primo giorno di lezione e sottolinea con il righello per evitare di fare delle linee storte. La classica studente media, in un ambiente medio, circondata da gente media. Casa, università, pranzo, cena, solito programma in tv, orari prefissati e guai a chi li scombina, piani pianificati, percorsi già percorsi. La classica studente che... bhè la classica studente che studia le ore per capire i minuti.
Se c'è una cosa che adoro fare è suddividere le persone in categorie che solo la mia mente conosce, classi di individui che si assomigliano per particolari che vengono notati. Nell'ambito scolastico, ad esempio, ci sono tre "classi" predominanti:
- gli studenti che amano esserlo: sono quelli che vivrebbero di studio, che adorano frequentare gli ambienti universitari e che si vestono da studenti per tutta la vita. Aperitivo al baretto dell'università, colazione al baretto dell'università, fosse per loro anche la doccia al baretto dell'università. Sono quelli che studiano non solo le materie utili per il superamento degli esami ma che approfondiscono. Quelli che seguono solo le lezioni che reputano interessanti, che possono studiare poco e prendere 30 e che rimarranno nostalgici per tutta la vita. Sono quegli studenti che hanno come obiettivo di vita il rimanere studenti diventando professori, vivere in campagna ed avere una camera per i libri, il cinema, la lavagna piena di numeri, l'abbonamento alla rivista mensile preferita, e così via. Quelli che organizzano i viaggi e che non visitano i musei. Di questa classe fanno parte anche "gli studenti a tempo perso" che sono quelli che se la cavano pur studiando nel tempo libero e diventando dei perfetti secchioni a due giorni dall'esame. Quelli che durante la settimana suddividono il loro tempo in partite a calcetto, aperitivi, cinema, discoteca. Quelli che non conoscono l'orario delle lezioni ed hanno bisogno di una guida spirituale per andare avanti nel percorso universitario. Sono due classi apparentemente diverse ma che in realtà hanno gli stessi identici ideali.
- gli studenti che lo fanno come fosse un mestiere: sono quelli che preparano i "programmi di studio" con le lezioni da seguire, gli appunti da prendere, le materie da studiare, le ore da destinare allo studio, in media otto al giorno, le birra (esclusivamente piccola) solo al sabato, le ore di sonno che non devono essere inferiori ad otto. In poche parole gli studenti che hanno l'otto in testa. Durante i cinque anni del liceo la loro media doveva essere dell'otto, dividono la loro giornata in tre parti da otto, che possono frequentare un circolo massimo di otto persone (esclusivamente come loro), che studiano come i dannati ma producono con la media dell'otto (questo è un altro mio personalissimo teorema: la producibilità dell'otto cioè essere effettivamente produttivi per otto minuti in un'ora di studio/lavoro/sport).
- i secchioni: quelli che non hanno bisogno di presentazioni.
Alice impersonificava la seconda categoria.
Poi c'era Lorenzo, bassino, grassottello, apparentemente simpatico, poco smart. In poche parole un finto leader mancato. Anche lui studiava economia nella stessa università frequentata da Alice. Stessa identica categoria d'appartenenza anche se Lorenzo voleva a tutti i costi appartenere alla prima categoria e, di conseguenza, faceva di tutto per frequentare gli "abitanti" della prima categoria.
Facciamo che salto tutta la parte noiosa della storia e che la racconto con altri due personaggi:
siamo a parco palestro a Milano e c'è una ragazza sulla trentina che lavora alla feltrinelli di Buenos Aires, bionda altezza media molto carina. E' in compagnia del suo cane un Labrador nero che ha avuto in regalo per le sue nozze dal suo testimone, suo fratello (di tutta la storia questo è il personaggio al quale sono state destinate meno parole ma è indubbiamente il più figo... che regalo è un Labrador?!?! Anzi... un Labrador con un fiocco rosso che ha percorso tutta la navata della chiesa e che aveva intorno al collo le fedi nunziali. L'ideatore di questo regalo, il fratello della ragazza, è il personaggio perfetto. Una comparsa che si fa strada per l'originalità). Il nome del cane è Lorenzo. Dall'altra parte dello stagno, se non conoscete parco palestro andate pure a cercare la piantina su internet e soprattutto andate a visitarlo perchè è bello, comunque, dall'altra parte dello stagno, c'è Giancarlo con la sua dolce metà un Labrador bianco che ha chiamato Alice. Capisco che Giancarlo e la tipa della feltrinelli (ho dimenticato di dire il nome prima e mi sembra inutile dirlo ora) sono due tipi molto più interessanti di Lorenzo e Alice (quelli dell'università... non i cani!) però c'è da dire che Giancarlo ha 64 anni ed ha avuto in dono Alice da sua figlia ed ha deciso di chiamarla come la sua ex moglie scomparsa da poco.
I due cani si incontrano, i due padroni si stanno simpatici, i due cani si odorano, i due padroni decidono di farli accoppiare. Questa è la storia di Alice e Lorenzo, i due cani, il finale è molto simile a quella di Lorenzo ed Alice i due universitari.
Però, c'è un però.
Ritorniamo alla storia principale, dopo l'accoppiamento ampiamente descritto con i due cani.
Lorenzo, ha accettato uno dei lavori più noiosi che siano mai stati inventati, l'assicuratore. Tutto il giorno davanti al pc con delle tabelle per garantire assicurazioni di ogni genere a persone di ogni genere. Un uomo piatto dalla vita piatta con orari piatti. Vive ancora con i suoi non collaborando alle spese e soprattutto non utilizzando un minimo di energie. Quando c'è la mamma che fa tutto è più bello vivere, sicuramente più facile. Lorenzo, tra due giorni, deve partire per un convegno a Parigi dove rappresenterà la filiale italiana. Un uomo che in realtà è ancora un ragazzo, che vive una vita piatta, ma che soprattutto è convinto di appartenere ad una "categoria" che non è la sua. Lui non è veramente innamorato di Alice, lui è convinto di esserlo perchè vede in Alice la sua seconda mamma, quella che gli preparerà tutto nel futuro, quella che rappresenta l'altra parte piatta, l'altro segmento che deve incontrare la sua linea retta.
Il tradimento e non parlo esclusivamente di quello fisico, è l'azione più infima (parola molto simile ad un'altra parola che ho preferito non usare... "infame") che esista.
Ma partiamo dal vocabolario:
Tradire: Ingannare qlcu. o violare un patto, venire meno a un obbligo vincolante, alla fede data: t. la moglie, un amico; t. un ideale, la patria; in contesto noto l'arg. può essere sottinteso: chi ha tradito sarà condannato || t. le speranze, le attese, deluderle.
Detto questo, per quanto mi riguarda, ogni tipologia di tradimento è la massima espressione della tristezza.
Tradire ad un convegno, a circa 1000 km dalla propria "amata", per una donna che non si vedrà mai più nella vita, è la massima espressione dello squallore.
Confessare il tradimento è, invece, uno svuotarsi l'anima delle proprie colpe cercando di "vomitare" ogni ragione di un'azione irragionevole. Lorenzo, quello piatto, ha deciso di tradire la brava Alice. Quando poi ha deciso di confessare tutto ad Alice, cercando di mascherare lo squallore con il rispetto, si è sentito la sua vocine che, in preda al panico gli ha detto:
"è arrivato il momento di prendere una decisione. O mi lasci o mi sposi!"
Capisco che in questo momento molto probabilmente vi ritroverete a compiatire Alice ed a immaginare Lorenzo come il diavolo sceso in terra. Sicuramente volete sapere com'è andata a finire questa triste e piatta storia. Vi assicuro che tante altre parole sarebbero inutili e che ve le evito chiedendovi di provare ad immaginare due cani che sono costretti ad amarsi.
Alice studiava filosofia nella più prestigiosa università di Milano, bassina con poca voglia di novità, la classica studente che compra tutti i libri il primo giorno di lezione e sottolinea con il righello per evitare di fare delle linee storte. La classica studente media, in un ambiente medio, circondata da gente media. Casa, università, pranzo, cena, solito programma in tv, orari prefissati e guai a chi li scombina, piani pianificati, percorsi già percorsi. La classica studente che... bhè la classica studente che studia le ore per capire i minuti.
Se c'è una cosa che adoro fare è suddividere le persone in categorie che solo la mia mente conosce, classi di individui che si assomigliano per particolari che vengono notati. Nell'ambito scolastico, ad esempio, ci sono tre "classi" predominanti:
- gli studenti che amano esserlo: sono quelli che vivrebbero di studio, che adorano frequentare gli ambienti universitari e che si vestono da studenti per tutta la vita. Aperitivo al baretto dell'università, colazione al baretto dell'università, fosse per loro anche la doccia al baretto dell'università. Sono quelli che studiano non solo le materie utili per il superamento degli esami ma che approfondiscono. Quelli che seguono solo le lezioni che reputano interessanti, che possono studiare poco e prendere 30 e che rimarranno nostalgici per tutta la vita. Sono quegli studenti che hanno come obiettivo di vita il rimanere studenti diventando professori, vivere in campagna ed avere una camera per i libri, il cinema, la lavagna piena di numeri, l'abbonamento alla rivista mensile preferita, e così via. Quelli che organizzano i viaggi e che non visitano i musei. Di questa classe fanno parte anche "gli studenti a tempo perso" che sono quelli che se la cavano pur studiando nel tempo libero e diventando dei perfetti secchioni a due giorni dall'esame. Quelli che durante la settimana suddividono il loro tempo in partite a calcetto, aperitivi, cinema, discoteca. Quelli che non conoscono l'orario delle lezioni ed hanno bisogno di una guida spirituale per andare avanti nel percorso universitario. Sono due classi apparentemente diverse ma che in realtà hanno gli stessi identici ideali.
- gli studenti che lo fanno come fosse un mestiere: sono quelli che preparano i "programmi di studio" con le lezioni da seguire, gli appunti da prendere, le materie da studiare, le ore da destinare allo studio, in media otto al giorno, le birra (esclusivamente piccola) solo al sabato, le ore di sonno che non devono essere inferiori ad otto. In poche parole gli studenti che hanno l'otto in testa. Durante i cinque anni del liceo la loro media doveva essere dell'otto, dividono la loro giornata in tre parti da otto, che possono frequentare un circolo massimo di otto persone (esclusivamente come loro), che studiano come i dannati ma producono con la media dell'otto (questo è un altro mio personalissimo teorema: la producibilità dell'otto cioè essere effettivamente produttivi per otto minuti in un'ora di studio/lavoro/sport).
- i secchioni: quelli che non hanno bisogno di presentazioni.
Alice impersonificava la seconda categoria.
Poi c'era Lorenzo, bassino, grassottello, apparentemente simpatico, poco smart. In poche parole un finto leader mancato. Anche lui studiava economia nella stessa università frequentata da Alice. Stessa identica categoria d'appartenenza anche se Lorenzo voleva a tutti i costi appartenere alla prima categoria e, di conseguenza, faceva di tutto per frequentare gli "abitanti" della prima categoria.
Facciamo che salto tutta la parte noiosa della storia e che la racconto con altri due personaggi:
siamo a parco palestro a Milano e c'è una ragazza sulla trentina che lavora alla feltrinelli di Buenos Aires, bionda altezza media molto carina. E' in compagnia del suo cane un Labrador nero che ha avuto in regalo per le sue nozze dal suo testimone, suo fratello (di tutta la storia questo è il personaggio al quale sono state destinate meno parole ma è indubbiamente il più figo... che regalo è un Labrador?!?! Anzi... un Labrador con un fiocco rosso che ha percorso tutta la navata della chiesa e che aveva intorno al collo le fedi nunziali. L'ideatore di questo regalo, il fratello della ragazza, è il personaggio perfetto. Una comparsa che si fa strada per l'originalità). Il nome del cane è Lorenzo. Dall'altra parte dello stagno, se non conoscete parco palestro andate pure a cercare la piantina su internet e soprattutto andate a visitarlo perchè è bello, comunque, dall'altra parte dello stagno, c'è Giancarlo con la sua dolce metà un Labrador bianco che ha chiamato Alice. Capisco che Giancarlo e la tipa della feltrinelli (ho dimenticato di dire il nome prima e mi sembra inutile dirlo ora) sono due tipi molto più interessanti di Lorenzo e Alice (quelli dell'università... non i cani!) però c'è da dire che Giancarlo ha 64 anni ed ha avuto in dono Alice da sua figlia ed ha deciso di chiamarla come la sua ex moglie scomparsa da poco.
I due cani si incontrano, i due padroni si stanno simpatici, i due cani si odorano, i due padroni decidono di farli accoppiare. Questa è la storia di Alice e Lorenzo, i due cani, il finale è molto simile a quella di Lorenzo ed Alice i due universitari.
Però, c'è un però.
Ritorniamo alla storia principale, dopo l'accoppiamento ampiamente descritto con i due cani.
Lorenzo, ha accettato uno dei lavori più noiosi che siano mai stati inventati, l'assicuratore. Tutto il giorno davanti al pc con delle tabelle per garantire assicurazioni di ogni genere a persone di ogni genere. Un uomo piatto dalla vita piatta con orari piatti. Vive ancora con i suoi non collaborando alle spese e soprattutto non utilizzando un minimo di energie. Quando c'è la mamma che fa tutto è più bello vivere, sicuramente più facile. Lorenzo, tra due giorni, deve partire per un convegno a Parigi dove rappresenterà la filiale italiana. Un uomo che in realtà è ancora un ragazzo, che vive una vita piatta, ma che soprattutto è convinto di appartenere ad una "categoria" che non è la sua. Lui non è veramente innamorato di Alice, lui è convinto di esserlo perchè vede in Alice la sua seconda mamma, quella che gli preparerà tutto nel futuro, quella che rappresenta l'altra parte piatta, l'altro segmento che deve incontrare la sua linea retta.
Il tradimento e non parlo esclusivamente di quello fisico, è l'azione più infima (parola molto simile ad un'altra parola che ho preferito non usare... "infame") che esista.
Ma partiamo dal vocabolario:
Tradire: Ingannare qlcu. o violare un patto, venire meno a un obbligo vincolante, alla fede data: t. la moglie, un amico; t. un ideale, la patria; in contesto noto l'arg. può essere sottinteso: chi ha tradito sarà condannato || t. le speranze, le attese, deluderle.
Detto questo, per quanto mi riguarda, ogni tipologia di tradimento è la massima espressione della tristezza.
Tradire ad un convegno, a circa 1000 km dalla propria "amata", per una donna che non si vedrà mai più nella vita, è la massima espressione dello squallore.
Confessare il tradimento è, invece, uno svuotarsi l'anima delle proprie colpe cercando di "vomitare" ogni ragione di un'azione irragionevole. Lorenzo, quello piatto, ha deciso di tradire la brava Alice. Quando poi ha deciso di confessare tutto ad Alice, cercando di mascherare lo squallore con il rispetto, si è sentito la sua vocine che, in preda al panico gli ha detto:
"è arrivato il momento di prendere una decisione. O mi lasci o mi sposi!"
Capisco che in questo momento molto probabilmente vi ritroverete a compiatire Alice ed a immaginare Lorenzo come il diavolo sceso in terra. Sicuramente volete sapere com'è andata a finire questa triste e piatta storia. Vi assicuro che tante altre parole sarebbero inutili e che ve le evito chiedendovi di provare ad immaginare due cani che sono costretti ad amarsi.
giovedì 31 marzo 2011
Steve
"Tic tac, tic tac, tic tac...
Fu su per giù al duemilacentottantaquattresimo tic tac che inziò a scendermi una goccia di sudore dalla fronte giù giù fino attraversando tempia, guancia, collo per infrangersi sul collo del dolcevita nero che indossavo. Cercai con lo sguardo Steve, ma un pò per la poca luce, un pò perché di sicuro il suo di sguardo non cercava il mio, fatto sta che i miei occhi non trovarono alcun conforto. Tic tac, duemilacenottansei, tic tac, duemilacentottantasette...
Ci incontrammo al baretto dietro la stazione, quello del siciliano, quello più squallido del quartiere e forse della città; non penso di averlo visto mai completamente vuoto il bar di Salvo. Magrebini e tunisini l'avevano battezzato luogo di incontro, di scambio di opinioni e di bevuta soprattutto. Nonostante gli insulti di cui lo stesso Salvo li omaggiava in continuazione, una birra, un cicchetto non gli era mai negato, col benestare del caro Allah. Siciliani, calabresi, napoletani e pugliesi ne avevano fatto una sorta di bisca neanche tanto clandestina, anche se ogni volta, la partita a carte diventava un pretesto per litigi che a loro volta parevano più pretesto per dar mostra delle più colorite espressioni dialettali. Le puttane, non le escorte nè le prostitute, le puttane procacciavano lì clienti o almeno recuperavano qualche drink grazie all'eccitazione alcolina di magrebini, tunisini, siciliani, calabresi, napoletani e pugliesi. E poi le macchinette e le tv che alternavano Barbara D'Urso a signorine discinte. E io, che affogavo nell'alcool la mia noia sentendomi orgoglioso di non farmi problemi a condividere certe scene nonostante la mia provenienza borghese.
Persi anche il conto dei tic tac. Iniziai allora nevroticamente a grattarmi avambraccio, bicipide, collo, petto, coscia, polpaccio, come se la lana, il velluto, qualsiasi cose infastidisse la mia pelle ormai umidiccia. Steve alzò la testa, incrociò finalmente il mio sguardo, aggrottò la fronte e fece un gesto deciso e rapido con la testa. Smisi di muovermi, tirai il fiato, presi dalla tasca il passamontagna e lo infilai.
Apparse una sera, col suo fare sicuro, quasi presuntuoso. Arrivò, si sedette accanto a me al bancone, ordinò del whisky, mi distolse con una pacca dall'abituale riflessione da bar, e mi inziò a parlare dell'impressione che gli aveva fatto la città. Per farla breve in poco tempo siamo diventati amici. Io non ne avevo nè ne cercavo, lui non ne aveva ma ne aveva bisogno, soprattutto per avere una guida della città. Dal baretto iniziammo a frequentare i pub, dai pub le discoteche, io che seguivo lui, lui che mi coinvolgeva nei suoi scanzonati corteggiamenti, impavide discussioni, dissenate serate. Si chiama Stefano, ma da tutti si fa chiamare Steve.
I signori Marmolata erano tornati, era il momento di agire. Uscimmo dallo stanzino che poi era la scarpiera della signora. Con passi felpati andammo verso il salone da dove si sentivano arrivare le voci. Muovendoci guardai per un attimo la pistola che avevo in mano. Non avevo mai avuto una pistola in mano, neanche alla fiere di paese dove mi portavano i nonni da ragazzino. Non so se sarei riuscito ad usarla, Steve mi diceva sempre che non sarebbe servita, che serviva a fare scena, che avrebbe pensato a tutto lui. Afferrò per il collo il vecchio, con un'occhiata mi fece balzare sulla signora, l'afferrai le braccia e le tappai la bocca. Del dopo ho vaghi ricordi...andammo in stanza da letto, davanti la cassaforte, Steve intimò di dirgli il codice. Non so perché stuprò la signora Marmolata, non era attraente, non credo servisse a convincere quel taccagno a mollarci i suoi averi. Non ricordo gli spari e non ricordo neanche di espressioni di dolore o di grida. Ricordo del sangue sì..."
"Signor Borromeo...le ripeto...ci sono le impronta e le registrazioni delle telecamere di sicurezza. Chi è Steve? Dove è questo Steve, signor Borromeo? Ci sono solo le sue impronta cazzo, solo lei signor Borromeo, solo lei..."
Fu su per giù al duemilacentottantaquattresimo tic tac che inziò a scendermi una goccia di sudore dalla fronte giù giù fino attraversando tempia, guancia, collo per infrangersi sul collo del dolcevita nero che indossavo. Cercai con lo sguardo Steve, ma un pò per la poca luce, un pò perché di sicuro il suo di sguardo non cercava il mio, fatto sta che i miei occhi non trovarono alcun conforto. Tic tac, duemilacenottansei, tic tac, duemilacentottantasette...
Ci incontrammo al baretto dietro la stazione, quello del siciliano, quello più squallido del quartiere e forse della città; non penso di averlo visto mai completamente vuoto il bar di Salvo. Magrebini e tunisini l'avevano battezzato luogo di incontro, di scambio di opinioni e di bevuta soprattutto. Nonostante gli insulti di cui lo stesso Salvo li omaggiava in continuazione, una birra, un cicchetto non gli era mai negato, col benestare del caro Allah. Siciliani, calabresi, napoletani e pugliesi ne avevano fatto una sorta di bisca neanche tanto clandestina, anche se ogni volta, la partita a carte diventava un pretesto per litigi che a loro volta parevano più pretesto per dar mostra delle più colorite espressioni dialettali. Le puttane, non le escorte nè le prostitute, le puttane procacciavano lì clienti o almeno recuperavano qualche drink grazie all'eccitazione alcolina di magrebini, tunisini, siciliani, calabresi, napoletani e pugliesi. E poi le macchinette e le tv che alternavano Barbara D'Urso a signorine discinte. E io, che affogavo nell'alcool la mia noia sentendomi orgoglioso di non farmi problemi a condividere certe scene nonostante la mia provenienza borghese.
Persi anche il conto dei tic tac. Iniziai allora nevroticamente a grattarmi avambraccio, bicipide, collo, petto, coscia, polpaccio, come se la lana, il velluto, qualsiasi cose infastidisse la mia pelle ormai umidiccia. Steve alzò la testa, incrociò finalmente il mio sguardo, aggrottò la fronte e fece un gesto deciso e rapido con la testa. Smisi di muovermi, tirai il fiato, presi dalla tasca il passamontagna e lo infilai.
Apparse una sera, col suo fare sicuro, quasi presuntuoso. Arrivò, si sedette accanto a me al bancone, ordinò del whisky, mi distolse con una pacca dall'abituale riflessione da bar, e mi inziò a parlare dell'impressione che gli aveva fatto la città. Per farla breve in poco tempo siamo diventati amici. Io non ne avevo nè ne cercavo, lui non ne aveva ma ne aveva bisogno, soprattutto per avere una guida della città. Dal baretto iniziammo a frequentare i pub, dai pub le discoteche, io che seguivo lui, lui che mi coinvolgeva nei suoi scanzonati corteggiamenti, impavide discussioni, dissenate serate. Si chiama Stefano, ma da tutti si fa chiamare Steve.
I signori Marmolata erano tornati, era il momento di agire. Uscimmo dallo stanzino che poi era la scarpiera della signora. Con passi felpati andammo verso il salone da dove si sentivano arrivare le voci. Muovendoci guardai per un attimo la pistola che avevo in mano. Non avevo mai avuto una pistola in mano, neanche alla fiere di paese dove mi portavano i nonni da ragazzino. Non so se sarei riuscito ad usarla, Steve mi diceva sempre che non sarebbe servita, che serviva a fare scena, che avrebbe pensato a tutto lui. Afferrò per il collo il vecchio, con un'occhiata mi fece balzare sulla signora, l'afferrai le braccia e le tappai la bocca. Del dopo ho vaghi ricordi...andammo in stanza da letto, davanti la cassaforte, Steve intimò di dirgli il codice. Non so perché stuprò la signora Marmolata, non era attraente, non credo servisse a convincere quel taccagno a mollarci i suoi averi. Non ricordo gli spari e non ricordo neanche di espressioni di dolore o di grida. Ricordo del sangue sì..."
"Signor Borromeo...le ripeto...ci sono le impronta e le registrazioni delle telecamere di sicurezza. Chi è Steve? Dove è questo Steve, signor Borromeo? Ci sono solo le sue impronta cazzo, solo lei signor Borromeo, solo lei..."
mercoledì 23 marzo 2011
la mia lista
Riprenderò copiando. Saviano, lo scortato più famoso d'Italia, ha una rubrica che definirei alquanto primaverile sul sito della Repubblica. Praticamente raccoglie 10 buone ragioni di vita inviate da noi lettori. Io non ho ancora inviato la mia lista, la condividerò prima qui e poi, quando ne avrò voglia, la riassumerò per Saviano. Invito tutti voi, sparuti/sfigati lettori e soprattutto voi scrittori (gli altri due dei tre), a commentare questo "racconto" con la vostra lista.
Una lista che non ha ordine, si può leggere prima il punto 7 e poi il 5 senza avere problemi di comprensione... Enjoy!
1- Scegliere i libri dall'odore e dall'ultima parola. Non ricordo assolutamente chi mi consigliò, ormai sono passati veramente tanti anni, questa strategia stravagantemente meravigliosa. Adoro passare le ore in Feltrinelli o meglio nella libreria più piccola e bella dell'Italia (Ostuni (Br)- nei pressi di Piazza Sant'Oronzo), riempire le mani di una serie di libri e sceglierne uno per l'odore o per l'ultima parola. Quindi un libro che finisce per "nero", "puzza", "morte", "malattia" e così via non lo comprerò mai. Nè tantomeno compro un libro che non odora di libro ma di plastica, o naftalina, o componenti chimici inutilmente utilizzati. Questa è una ragione ragionevolmente accostata alle bevande calde, alla poltrona, al week end invernale, alla possibilità di far scorrere le pagine al ritmo della pioggia che batte sulla finestra.
2- Andare in vacanza con la mia famiglia. Parlare del nulla cosmico mascherato da progetti per il futuro, dalle prestazioni della macchina nuova, da consigli sulle amicizie da frequentare e altro, tanto altro. Credo che sia soprattutto l'altro che mi interessa, una compressione di parole scambiate con persone che conosci e che ti conoscono in uno spazio ristretto che rende il tutto più bello. Credo che questa ragione sia facilmente accostabile alla poesia "il sabato del villaggio". Il piacere di trascorrere del tempo in attesa di ciò che si cerca.
3- La partita di calcetto del sabato pomeriggio. Sempre le stesse facce, sempre gli stessi scontri, le battute, i goal, le corse, le urla, le vittorie e le sconfitte. La partita del sabato è sacra quanto il campionato alla domenica, i mondiali ogni quattro anni. Rimanendo in tema "calcio" riporto sotto la stessa voce anche l'espressione di Fabio Grosso dopo il rigore decisivo dei mondiali 2006, l'esultanza di Milito al secondo goal in Champions contro il Bayern, i festeggiamenti in piazza Duomo quando le bandiere sono tutte uguali.
4- Un film. O meglio, un bel film. Questo punto potrebbe raccogliere una nuova lista con i miei film preferiti ma mi sembra inutile. La ragione di vita legata a questo punto è la possibilità di condividere immagini, in piccole medie o grandi dimensioni, unite da dialoghi e storie ed interpreti e registi e originalità. Andare al cinema, quello piccolo di periferia dove ci si accontenta di ciò che trasmettono oppure nella multisala più grande della città più famosa. Un film visto grazie ad un computer portatile o ad un televisore vecchio stampo con tanto di scatolone dietro.
5- Le fotografie. Pezzi di vita trascorsi che ricordano odori e colori e sensazioni. Fotografie sparpagliate per casa risalenti ad anni e anni prima, fotografie gelosamente custodite in cassetti di scrivanie chiusi a chiave, fotografie ordinate secondo non si sa mai quale principio in un album.
6- Il mare in qualsiasi stagione dell'anno. In estate perchè ci stanca, in inverno perchè ci rasserena, in autunno perchè ci regala la giusta dose di nostalgia, in primavera perchè è lo strumento adatto per riscaldarci.
7- Gli aerei. I viaggi. I nuovi incontri in paesi molto lontani. Salire e scendere da quella rampa che nel giro di poche ore ci dà la possibilità di essere veramente stranieri. Di assaporare le sensazioni dell' essere fuori luogo. Un bianco in mezzo ai neri, una coppia di occhi in mezzo a tanti occhi a mandorla.
8- I nonni perchè sono il giusto salto generazionale che risolve il problema genitori-figli. Lo sguardo di una mamma negli occhi del nonno visti dal nipote, è come sentirsi a casa più volte nello stesso momento.
9- La scrittura come forma di liberazione della mente.
10- Il cibo. Quello tradizionale cucinato dalla nonna, quello originale detto anche esotico, quello veloce perchè si ha solo un'ora di pausa pranzo, quello dolce e quello salato, quello disgustoso e quello sano.
Una lista che non ha ordine, si può leggere prima il punto 7 e poi il 5 senza avere problemi di comprensione... Enjoy!
1- Scegliere i libri dall'odore e dall'ultima parola. Non ricordo assolutamente chi mi consigliò, ormai sono passati veramente tanti anni, questa strategia stravagantemente meravigliosa. Adoro passare le ore in Feltrinelli o meglio nella libreria più piccola e bella dell'Italia (Ostuni (Br)- nei pressi di Piazza Sant'Oronzo), riempire le mani di una serie di libri e sceglierne uno per l'odore o per l'ultima parola. Quindi un libro che finisce per "nero", "puzza", "morte", "malattia" e così via non lo comprerò mai. Nè tantomeno compro un libro che non odora di libro ma di plastica, o naftalina, o componenti chimici inutilmente utilizzati. Questa è una ragione ragionevolmente accostata alle bevande calde, alla poltrona, al week end invernale, alla possibilità di far scorrere le pagine al ritmo della pioggia che batte sulla finestra.
2- Andare in vacanza con la mia famiglia. Parlare del nulla cosmico mascherato da progetti per il futuro, dalle prestazioni della macchina nuova, da consigli sulle amicizie da frequentare e altro, tanto altro. Credo che sia soprattutto l'altro che mi interessa, una compressione di parole scambiate con persone che conosci e che ti conoscono in uno spazio ristretto che rende il tutto più bello. Credo che questa ragione sia facilmente accostabile alla poesia "il sabato del villaggio". Il piacere di trascorrere del tempo in attesa di ciò che si cerca.
3- La partita di calcetto del sabato pomeriggio. Sempre le stesse facce, sempre gli stessi scontri, le battute, i goal, le corse, le urla, le vittorie e le sconfitte. La partita del sabato è sacra quanto il campionato alla domenica, i mondiali ogni quattro anni. Rimanendo in tema "calcio" riporto sotto la stessa voce anche l'espressione di Fabio Grosso dopo il rigore decisivo dei mondiali 2006, l'esultanza di Milito al secondo goal in Champions contro il Bayern, i festeggiamenti in piazza Duomo quando le bandiere sono tutte uguali.
4- Un film. O meglio, un bel film. Questo punto potrebbe raccogliere una nuova lista con i miei film preferiti ma mi sembra inutile. La ragione di vita legata a questo punto è la possibilità di condividere immagini, in piccole medie o grandi dimensioni, unite da dialoghi e storie ed interpreti e registi e originalità. Andare al cinema, quello piccolo di periferia dove ci si accontenta di ciò che trasmettono oppure nella multisala più grande della città più famosa. Un film visto grazie ad un computer portatile o ad un televisore vecchio stampo con tanto di scatolone dietro.
5- Le fotografie. Pezzi di vita trascorsi che ricordano odori e colori e sensazioni. Fotografie sparpagliate per casa risalenti ad anni e anni prima, fotografie gelosamente custodite in cassetti di scrivanie chiusi a chiave, fotografie ordinate secondo non si sa mai quale principio in un album.
6- Il mare in qualsiasi stagione dell'anno. In estate perchè ci stanca, in inverno perchè ci rasserena, in autunno perchè ci regala la giusta dose di nostalgia, in primavera perchè è lo strumento adatto per riscaldarci.
7- Gli aerei. I viaggi. I nuovi incontri in paesi molto lontani. Salire e scendere da quella rampa che nel giro di poche ore ci dà la possibilità di essere veramente stranieri. Di assaporare le sensazioni dell' essere fuori luogo. Un bianco in mezzo ai neri, una coppia di occhi in mezzo a tanti occhi a mandorla.
8- I nonni perchè sono il giusto salto generazionale che risolve il problema genitori-figli. Lo sguardo di una mamma negli occhi del nonno visti dal nipote, è come sentirsi a casa più volte nello stesso momento.
9- La scrittura come forma di liberazione della mente.
10- Il cibo. Quello tradizionale cucinato dalla nonna, quello originale detto anche esotico, quello veloce perchè si ha solo un'ora di pausa pranzo, quello dolce e quello salato, quello disgustoso e quello sano.
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