Adoro viaggiare in treno. Sia chiaro, soffro anche io il freddo agghiacciante da riscaldamento rotto o il caldo asfissiante da riscaldamento troppo alto in inverno, il caldo asfissiante da condizionatore rotto o il freddo agghiacciante da condizionatore sparato a mille in estate. Soffro la sensazione più che la realtà di minuscoli pidocchietti che mi si arrampicano dai sedili su per le braccia, soffro la realtà più che la sensazione di orripilante odore nei primi cinque metri quadri intorno al bagno. Soffro la mancanza di spazio per i bagagli ancor più della mancanza di spazio vitale per le gambe, soffro il controllore che con la leggiadria di un elefante piomba nello scompartimento di notte accendendo la luce, soffro la fila per comprare il biglietto e il fisiologico ritardo, soffro questo e molto altro ma adoro viaggiare in treno.
Giusto per intenderci non mi piace per gli stravaganti tipi che si incontrano ogni viaggio, affatto. Anzi a dirla tutta li detesto i compagni di viaggio, soprattutto quelli molesti, quelli che per forza vogliono attaccar bottone, raccontare la loro vita ed ascoltare la tua. Quando me li ritrovo nello scompartimento e cuffiette, cuffiette più libro, cuffiette più libro più finta dormita, cuffiette più libro più finta dormita più risposte a monosillabi non funzionano addirittura sono costretto a prendere bagagli e bagaglini e a cambiare posto, scompartimento, carrozza. E succede più spesso di quanto si possa immaginare. Mi sfugge il motivo, ma più di vecchiette che parlano di cucina o di vecchietti che raccontano di guerra, sono baldanzosi giovanotti che sembrano morire dalla voglia di raccontarti per filo e per segno di famiglia, lavoro, ragazza e persino sesso. Quando poi si ritrovano con vecchiette o vecchietti il quadro è completo. Per non parlare se fra i sei ci capita un’avvenente signorina. Inizia una sorta di gioco di società, in cui a turno i vari palestrato, nerd, vecchietto, manager si sfidano facendo la battuta più intrigante alla signorina. Patetico, unica soluzione cambiar posto anche in questo caso. Come dicevo si incontrano un bel po’ di tipi strani, quasi romanzeschi che mi gusto in silenzio coperto da scuri occhiali da sole, ma non è per questo che mi piace viaggiare in treno.
Adoro viaggiare in treno perché saranno i piccolissimi sobbalzi, il rumore di sottofondo, l’odore, la consapevolezza di stare su due binari, di muoverti senza preoccuparti della strada, le fermate cadenzate, i mille volti incontrati, sarà non so cosa, ma come mi lascio andare a pensieri in libertà su di un treno non mi riesce in nessun altro posto, neanche sul gabinetto al mattino subito dopo aver preso un caffè. Mi abbandono del tutto, passo praticamente tutto il tempo in uno stato di semicoscienza o leggero assopimento che dir si voglia, lasciando che i pensieri vaghino nella mia testa. Mi vengono in mente scene del passato, faccio il punto sul presente, immagino il futuro. Vedo volti e ci associo storie, osservo paesaggi e immagino personaggi, ascolto musica e mi ritrovo a guardare tutto da un punto di vista diverso, più alto. Ma soprattutto amo quella specie di sogni che si fanno solo qualche volta. Quella specie di sogni in cui tu sei quasi cosciente, pensi mentre sogni, addirittura cambieresti la storia senza riuscirci però. Quei sogni in cui magari prendi una buca e muovi i muscoli della gamba, schivi un ostacolo e istintivamente muovi il capo. Quella specie di sogni lì, bellissimi. È come se in quello stato il cervello ti suggerisca qualcosa, intraprendi un dialogo con il tuo sub inconscio, che chissà com’è ne sa sempre di più. Li adoro e li faccio praticamente solo in treno.
Sarà per questo che non mi convinco a prendere l’aereo, che di malavoglia scenderei in macchina, sarà per questo che viaggio in treno nonostante le 21 ore che dividono Torino da Palermo. Sono anni che lo faccio, è come se le mie vacanze iniziassero in stazione e finissero lì stesso, come se i miei periodi in Sicilia comprendessero due lunghi incontri con lo psicanalista di fiducia, me stesso.
Sono anni ormai che sono a Torino, mi piace come città. Mi piacciono i suoi corsi lunghi ed alberati, i palazzi che esprimono signorilità ed eleganza, le infinite piazze, i locali sul Po’, la sua multi etnicità, anche la cordialità distaccata dei torinesi. Certo mi manca il sole, il mare, i sapori e il dialetto della mia Sicilia, ma si sa ogni scelta alla fine è un compromesso. E io il mio compromesso l’ho scelto. Lontano dalla terra che amo, vicino alla vita che voglio.
- Ciao zio…sì zio, arrivo alle 6…sì zio certo che ci vediamo…ciao zio, a domani zio Tano…
Non passerò certo per lui, passerò per quel simpatico ragazzino di Antonio che sembra adorarmi tanto. E passerò anche da quel casolare dove ho lavorato per un pò e che è sempre pieno di bambini. Mi piace alla fine la mia terra, mi piacciono i suoi colori, sapori odori. Mi piacciamo i suoi figli, i bambini, molto meno i grandi, gli adulti, l’aria che si respira, gli espedienti con cui si sopravvive…
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