sabato 10 luglio 2010

La foto - Parte quinta

La strada era solo illuminata dai fari di qualche macchina che correva veloce a quell'ora della notte. La macchina dello zio Tano e Pippo era venuta fuori dalla stradina di campagna senza asfalto e si era immessa dopo pochi minuti sull'autostrada che collega Trapani a Palermo. La loro vecchia Alfa era la sola che andava in direzione del capoluogo. Buio dietro. Buio davanti.
Sfrecciarono di fianco ad un immenso monumento illuminato da un faro giallastro. Quello era il punto in cui più di vent'anni prima venne assassinato il giudice Falcone.
Il monumento svetta sul fianco della strada, immenso e imponente, perchè la gente non dimentichi e perchè la gente ricordi.
In lontananza sulle colline una piccola fissa luce bianca si lasciava notare nell'oscurità. Quello era il punto in cui gli attentatori erano posizionati con il detonatore per far saltare l'ordigno al momento del passaggio dell'autovettura del Giudice e della sua scorta.
La vecchia Alfa correva veloce e passò rapida la zona illuminata proseguendo verso Palermo.
Pippo guidava fissando concentrato la strada. Tano fissava il paesaggio che scoreva come in una cinepresa al di la del suo finestrino.
"Spero sia l'ultima. L'ultima volta. Voglio smetterla con tutta questa storia".
Pippo distolse per un attimo lo sguardo dall'asfalto e gli disse:
"Andrà bene Tano. Non ti devi preoccupare. Salvatore a che ora arriva?"
"Tra cinque minuti. Turi mi sta aiutando tanto con questa storia di Antonio. Non posso continuare a tenerlo con me e non voglio finisca come noi. Facendo questa vita da schifo. E' così piccolo, se non ci entra, non avrà il problema di venirne fuori."
"Lo sai che sei stato un buon padre Gaetano. Hai fatto sempre tutto quello che potevi. Quando torneremo con Turi, come hai intenzione di spiegarlo ad Antonio. Non se ne andrà così facilmente lo sai" Pippo parlava tenendo stretto il volante. Avevano imboccato l'uscita da qualche minuto ed ora si dirigevano verso il centro.
"Lo farà. Fidati di me che lo farà" e dicendolo accese un'altra sigaretta e tornò a guardare i palazzi che ormai si ergevano alti ai lati della strada.
Pochi chilometri più lontano, in piazza Giulio Cesare, Salvatore, detto Turi era appena sceso giù dal treno in arrivo da Torino. Osservava tutto intorno con la solita area un pò spaesata e un pò di chi in fondo si sente a casa. Passeggiò un pò per la stazione semideserta a quell'ora del mattino e si diresse verso l'uscita.
Pochi minuti più tardi giunse l'Alfa con lo zio Tano e Pippo. Si abbracciarono e si baciarono.
"Sei pronto?" gli chiese Pippo con uno stupido ghigno tra i denti.
"Si. Come sempre no?" gli fece eco Turi."Metto il borsone nel portabagagli, va bene?"
Per tutto il tragitto Antonio era stato sballottolato tra sacchi e borsoni nel retro dell'auto. Sentiva parlare Tano e Pippo, ma quelle che gli giungevano all'orecchio erano solo frasi sconnesse e confuse. Dopo dieci minuti buoni di corsa in auto, Antonio si era addormentato, abbracciando un lungo borsone nero. Quella sacca gli ricordava molto un suo vecchio bambolotto tutto ossa e armatura, raffigurante un'astronauta soldato. In realtà quello che il piccolo Antonio stava stringendo erano due mitra Uzi modello D-91 e tre Benelli semiautomatici calibro 16.
Salvatore si avvicinò al portabagagli e mentre lo stava per aprire, lo zio Tano gli disse:"Lascia stare Turi, puoi posarlo sul sedile posteriore senza problemi. Spicciati, non abbiamo molto tempo". E salirono tutti e tre in macchina
Il tempo non era molto, ne tantomeno abbastanza. Ed il tempo sembra sempre troppo stretto e tiranno, soprattutto devi parcheggiare la tua macchina sul retro di una banca. Tenere il motore acceso e aspettare che qualcuno corra infilandosi all'interno, inseguito da qualche uniforme o ancor peggio da qualche pallottola vagante. E poi cercare di guidare nella strada che con il cuore che batte forte, ti si restinge fino a diventare minuscola. Controllare il tremolìo del piede destro mentre passa e gioca tra freno e frizione mentre ti volti indietro e scopri che uno dei tuoi un proiettile ce l'ha conficcato tra la clavicola ed il polmone destro. Devi scappare via dalle sirene che senti lontane, raggiungere un posto sicuro e trovare un medico che riesca a sistemare tutto senza troppe domande e senza troppe richieste. Così vanno queste cose e così sarebbero andate se giusto prima di indossare quelle stupide maschere bianche di halloween, prima di aver ricapitolato tutto passo dopo passo, prima del rito che erano solito fare, Pippo non avesse aperto il portabagli e avesse esclamato:
"Porca di quella puttana di Eva" fissava l'interno del portabagli con la mascella penzolante.
"Cosa c'è? Cosa diavolo c'è?" disse Tano guardandolo.
"Non dirmi che hai dimenticato i fucili, dovevi controllare e ricontrollare, lo sapevi. Ti prego, non dirmi che hai dimenticato i fucili Pippo, non dirmi che hai dimenticato i fucili" Turi ripeteva la frase continuando a sbattere il pugno sul tettuccio dell'auto. Pippo li guardò entrambi con aria sconsolata."No, non ho dimenticato i fucili. Qualcosa di peggio..."
Tano e Salvatore fecero il giro dell'auto e si piazzarono dinanzi al portabagagli. Li rimasero li fermi immobili per qualche secondo buono fissando il contenuto. Delle sacche, il borsone con i fucili e il piccolo Antonio che sonnecchiava ancora.
"E lui che cazzo ci fa qui?" disse Turi. Nessuno rispose.
"Salvatore, riparti domani e lo porti con te. E'saltato tutto. Ritorniamo a casa".
E così Tano lascio che il Piccolo Antonio da lui cresciuto come un figlio, lasciasse la sicilia e andasse a vivere a Torino.

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