Stiamo precipitando. Strano come le cose cambino così da un momento all’altro. Non dico che non me lo aspettassi, sicuramente non mi aspettavo fosse così, almeno non troppo tempo fa.
Mi scorrono davanti agli occhi le ultime istantanee di questa strana storia. L’arrivo in aeroporto, l’incontro con Mayer. Il facile passaggio dei controlli e l’incidente del taxi. Le chiamate con Carlo. In quel momento il destino mi deve aver suggerito qualcosa, peccato non poter sapere se quel qualcosa è ciò che sta accadendo oppure le cose sarebbero dovute andare in un altro modo. Bagno, scambio di parole con quello strano signore che guarda caso è qui da qualche parte sull’aereo. Dopo ho gettato via l’abito da prete, parrucca diversa, baffi finti, occhiali da sole e stesso passaporto. Rischioso, ma da fare. Carlo mi ha informato sul quel Nicola, ed ecco là con i suoi capelli ondulati neri. E poi quell’altro prete, come detto sempre meglio non avere a che fare con “colleghi”. Carlo il suo lavoro lo sa fare, un po’ meno mentire, per questo non sempre gli dico tutto.
La mia psicologia non è tanto chiara neanche a me. Adoro mentire, mi riesce facile, mi riesce bene. Lo ammetto, mi piace perché in fondo sono un debole. Non mi ritengo un coraggioso, certamente non sono un codardo. Ho dei limiti a mostrare il mio me vero, interiore. Ho paura che qualcuno ne possa abusare, sarà un trauma infantile. E odio essere preso in giro, lo odio più di qualsiasi cosa. Non è un ritenersi il più intelligente, semplicemente è un non sentirsi inferiore a nessuno. Piccola ma fondamentale differenza.
"Si prega i signori di prendere posto il più rapidamente possibile. L'aereo partirà tra non più di quindici minuti".
Continuano a scorrere le diapositive. Imbarco. Aspetto pazientemente e senza dare nell’occhio che si formi la solita fila, come se i posti non fossero numerati. Vado al seggiolino che avevo “visitato” ieri. Come mi aspettavo non c’è mai troppo zelo da parte di chi viene pagato una miseria per spazzolare tutti i giorni gli stessi pavimenti. Prendo ciò che avevo attaccato sotto. Salgo sull’aereo. Prendo posto. Il prete più avanti chiacchiera. Quel certo Nicola guarda un po’ è capitato vicino all’uomo per cui stavo mandando a monte tutto. Decollo, tutto come previsto.
Da ragazzo avevo il pensiero di dover diventare qualcuno. Non qualcuno d’importante, qualcuno che sarebbe stato ricordato, qualcuno di cui leggere il nome sui libri di storia ecco. Penso sia una cosa comune. Non per trovare alibi, ma se vieni abbandonato e passi i primi tuoi anni di vita in un orfanotrofio, vieni adottato da ricche persone che ti danno tutto tranne quell’affetto di cui avresti bisogno questo pensiero diventa una vera ossessione. All’università ancora ci pensavo, poi le cose hanno preso una piega diversa. Adesso faccio quel che faccio, non ho una donna, neanche un amico, non ho lasciato eredi e praticamente sempre ho un’identità che non è la mia. Mi sono condannato all’anonimato, all’oblio ma ciò non mi dispiace. Diventerò io stesso un’ossessione, l’ossessione di chi vorrà o sarà obbligato a capire, l’ossessione di chi dovrà pagarne le conseguenze. Non sarò ricordato, non sarò sui libri di storia, sicuramente non sarò pianto, ma ciò che sto per fare quello sì che darà da pensare.
Siamo in quota, è quasi il momento. Mi sento stranamente nervoso, senza quasi che me ne accorgersi la gamba destra ha iniziato a muoversi nevroticamente. Mi abbasso, prendo dallo zainetto il telecomandino che avevo lasciato sotto al seggiolino ieri. Guardo il bottoncino rosso, sorrido, lo schiaccio. Lucetta verde. Poi le diapositive iniziano a scorrere velocemente. Primo sobbalzo, secondo sobbalzo. Fumo dal lato est dell’aereo. Panico. Urla. Valige che cadono e rotolano. Isteria. Bambino che piange. Uomo del malaugurio che si ferma allibito e spaventato proprio davanti a me. Questa volta ho battuto anche la tua maledizione. E questa è l’ultima diapositiva.
Si dice che mentre stai morendo ti scorra la vita davanti. Più o meno è così. Velocemente davanti vedo passare le botte di compagni ed educatori da bimbo, l’ingresso in quella che sarebbe stata la mia casa, la scuola, il liceo, l’università, il poker e le prime truffe. Silvia, Giulio, Carlo. Velocemente. Poi quella che secondo me si chiama coscienza mi ha fatto salire su i dubbi. L’attimo di pigiare quel bottone in realtà è durato un’eternità. Perché? Crudeltà, vendetta, pazzia, cosa? Sono stato preso in giro, punto. Mi sono fatto mettere in mezzo da questa storia forse stupidamente, ma stupidamente non potevo uscirne. Non sono l’ultimo arrivato. Da quando feci l’accordo con Mayer fra le gambe di sua moglie sentivo che qualcosa puzzava. È bastato farmi assumere come inserviente handicappato all’aeroporto per capire ciò che succedeva. Turno di notte, aereo sempre sott’occhio. Così ho visto quelli piazzare ieri l’esplosivo sull’ala. So cosa c’è dietro tutto questo, so di tutta l’organizzazione, ma non mi è mai interessato entrarci. Ma non posso fare la figura del corriere fesso. Metterci il mio congegno attaccato accanto non è stato difficile, sono un professionista cazzo. L’ho messo ieri per tutelarmi e poi ci sono stato a pensare tutta la notte. So che loro non lo faranno saltare, questo chip che trasporto è troppo importante. E allora lo faccio io e magari la colpa se la prendono loro. È l’uscita di scena che spetta ad un artista come me. Mi dispiace degli altri 232 che porto con me all’inferno, ma forse è il loro destino. Forse è il mio. Mi godo la fine, la mia fine, quella che mi sono scelto. Non tutti riescono a scriverla di proprio pugno, per questo sorrido. Sorrido adesso, mentre precipitiamo.
Nessun commento:
Posta un commento