"Siamo spiacenti di comunicarvi che a causa di problemi tecnici sulla pista i voli in partenza dai gate sette, dieci e dodici partiranno con un ritardo di trenta minuti. Ci scusiamo per il disagio".
Meno male. Pensavo di dover esser costretto a sorrisetti alle battone in uniforme, a pacche sulla spalla di eleganti farabutti, a scrollate ai capelli di simpatici mociosetti, il tutto per guadagnare qualche posto in quell’odioso serpentello di persone che precedono gli ancor più odiosi metal detector. Invece no, il mio volo per Dubai mi attenderà trenta minuti in più. L’ideale per vagare un pò in questo amabile e stantuffoso santuario del terzo millenio. E magari per trovare una toilette dove svuotare la vescica.
Mi piace camminare fra centinaia di sconosciuti, mi piace farlo ancor più in posti come questo dove ognuno è preso dalle proprie speranze, dalle proprie ansie. Arrivi e partenze. Partenze e arrivi. Come se fosse il crocevia fra un passato ancora presente ed un futuro già attuale. Come se quella scatola di fibra di carbonio diventasse più il tramite per guardarci dentro che il mezzo per spedirci lontano chilometri. Li vedo, li osservo. Li sento, li ascolto. E mi sembra essere l’unico a farlo. Mi asciugo il sudore.
Lavo le mani e mi dò una rinfrescata alla faccia. Fossero tutti così puliti i bagni penso che le stazioni, i bordelli, le osterie e i barretti di quartiere non avrebbe lo stesso fascino. Certamente non lo stesso odore. Guardo la mia immagine riflessa, e incosciamente sorrido. Uno, nessuno e centomila. Dò un’aggiustatina veloce al ciuffo e al colletto, uno sguardo agli altri uomini alle mie spalle, mi scappa un occhiolino, sorrido di nuovo ed esco.
Sinceramente nel serpentello le persone che mi danno più fastidio sono le donne sulla trentina o quarantina. Quelle in gruppo di due o tre, massimo quattro. Quelle in partenza per una qualche vacanza che blaterano frasi senza senso eppure tanto esilaranti, per loro. Mi infastidiscono più della ragazza o del ragazzo che ha appena salutato il compagno o la compagna, o anche a sessi inversi, che con aria abbacchiata cercano centinaia di metri più in là l’ultimo sguardo. Mi infastidiscono più dei manager o pseudo tali in giacca e cravatta con la ventiquattrore in pelle di coccodrillo in mano, che urlano al blackberry guardando l’orologio come se non sapessero a che ora parte l’aereo. Più delle coppiettine che non perdono curva del serpentello per infilarsi la lingua in bocca, più dei vecchietti che hanno bisogno della spintarella per accorgersi della fila che avanza, più dei pianti dei mocciosi.
Sono facilmente irritabile, sì. O forse sono solo un osservatore, devo. Perché alla fine il senso di fastidio è superficiale, a fil di pelle. Mentre la curiosità, quella è reale, venosa. Non so se è un male o un bene, un pregio o un difetto, so che è innata e che ciò non mi dispiace. Sento arrivare al mio orecchio decine di voci, eppure in quelle ci distinguo una manciata di conversazioni, un paio che vale la pena recepire. Guardo decine di mani, di scarpe, di orologi, di gesti, eppure fra questi ne discerno qualcuno che vale la pena osservare più a fondo, un paio da dover ricordare. Non penso di essere l’unico a farlo, anzi, non penso di essere l’unico a poterlo fare. Sono l’unico che lo fa. Forse l’unico che prova a farlo fruttare.
"Prego, poggi pure qui i suoi oggetti signore"
E vedo scivolar via la mia cintura nera in pelle, il mio anello e il mio bracialetto dorati, il mio libro rivestito di vecchia tela verde. Lessi Edgar Allan Poe. Ciò che meglio si vuol nascondere, più sotto gli occhi di tutti deve stare. O qualcosa di simile.
Diiiin...Diiiin...Diiiin...
"Emm, mi scusi ma dovrebbe provare a ripassare di nuovo..."
Diiiin...Diiiin...Diiiin...
"Mi scusi, ma è sicuro di aver lasciato tutto?"
"Ooooh, ma certo...sarà questo figliuolo"
"Mi scusi...ma...emmm...dovrebbe metterlo sul carrellino..."
"Ma figliulo, non posso per nulla al mondo lasciare il crocifisso di Nostro Signore..."
"Ma certo padre...lo scusi...passi pure padre...e scusi ancora..."
"Si figuri figliuolo, si figuri...ognuno è chiamato a compiere la propria missione"
Ognuno indossa una maschera. Io ne cambio diverse. Ognuno è costretto a recitare una parte in questo mondo. Io ne scelgo una di volta in volta. Ognuno si guadagna da vivere come può, chi lo fa con più passione chi con meno. Chi per tutta la vita indossa un frack, chi una camicia, chi una tuta. Chi si cuce addosso un vestito troppo stretto, chi uno dai colori troppo sbiaditi. Io vado in camerino e mi cambio.
Sono un truffutore, un disonesto. Forse l’unico onesto, almeno con me stesso.
"Sportello due"
Controllo passaporto, il momento della verità. Adrenalina. Eccitazione. Il momento che adoro...
Aggiusto il colletto bianco, tiro giù la tunica nera, sistemo il crocifisso e, libretto in mano, mi avvio sorridente.
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