martedì 23 marzo 2010

Good night

E cosi realizzò una cosa strana. Una cosa che qualsiasi persona aprisse un blog e trovasse un ultimo post appena pubblicato avrebbe desiderato leggere. Aveva appena realizzato che quando andava a letto, rideva. O meglio non rideva. Era raro che gli capitasse di ridere. Gli succedeva solo in caso di gravi incidenti sulla statale. Nelle moderne pubblicità di yogurt alla frutta. E quando accendava il gas dopo averlo dimenticato acceso. No, non rideva. Quello che faceva era sorridere. Reminescenza. Forse. Ricordo. Chissà. Non pretendeva di saperlo, ne di trovare un porto in cui attraccare in quel marasma di fanghiglia che gli si agglomerava in testa. Per ora bastava solo un pò di quiete. Sprofondò nelle coperte. Nascondendosi fin sopra al naso. Osservando la stanza. Buia. Quel letto di ferro. Ornamentato in quel disgustoso stile medioevale. Pareti bianche. Spoglie. Sul parquet sporco incrostato. Macchie di alcol di settimane passate. Cenere. Cenere sul tavolo. Cenere per terra. Cenere tra le coperte. Mozziconi di sigaretta un pò sparsi qua e la. Strinse le mani sul piumone. Chiuse gli occhi. Piego le dita dei piedi su se stesse fino a farsi male. Irrigidì le gambe. Quadricipiti femorali. Polpacci. Glutei. Strinse i denti. Li strinse e li strinse fino ad aver male alla mascella. Sentiva l'arcata superiore infilarsi con qualche discontinuità su quella inferiore. Rilasciò. E poi ristrinse ancora. E ancora. I lati della sua boccam gli si gonfiavano ritmicamente. Dove le due arcate dentali si univano nell'osso mobile. Mosse le mani a nervi tesi. Le dita. L'avambraccio. Respirava. Respirava lentamente. Insipirava tutto d'un colpo. La narici gli si gonfiavano. Lasciando che l'aria salisse fino ad inebriarli la massa cerebrale. Respirò sempre più velocemente. Sentiva l'aria entrarli nella calotta cranica. La sentiva spargersi nelle piccole insenature. La sentiva passargli dietro agli occhi. Un brivido dietro la schiena. Più respirava e piu saliva. Piu respirava e piu saliva. Come una colonna di mercurio dimenticata vicino ad un caminoe poi messa in congelatore. Fuoco. Gelo. Fuoco. Gelo. Così fin quando qualcosa si ruppe. Scaravento lo coperte per terra. Camminò a passi rapidi a piedi scalzi. Calpestando i volantini piubblicitari. Pezzi di terra portati dagli scarponi. Qualche insetto morto da chissà quanto tempo e degli avanzi di metallo sbriciolato. Aprì la porta dello scantinato e prese la mazza da baseball che conservava nel secondo ripiano. La scartò e sbatté la porta. Urto il divano. Ed una sedia. La fece cadere per terra ma non se ne accorse. Si fermò un attimo e poi si voltò. Porto la mazza a mani giunte dietro la schiena e la lasciò precipitare sul tavolo di vetro. Migliaia di piccoli pezzi si dispersero infilandoglisi sotto i piedi e all'altezza delle cosce. Colpi il rpiano con i bicchieri. Ruppe la vetrina. E poi gli scaffali in legno. Ansimava. Colpiva. Il tavolo. Il divano. Qualsiasi cosa avesse consistenza. Entro in camera. Lasciando un misto di orma di sangue e polvere. Colpì la lampada da tavolo in plastica gialla. Con la mano scaraventò per terra tutto quello che aveva sistemato con cura. Colpi il pc. Una. Due. Tre volte. Finchè dal buco nello scermo vennero fuori i circuiti e della tastiera rimaneva solo qualche altro tasto ancora incollato. Butto per terra l'armadio in bianco legno compensato. I primi due cassetti volarono via. Lo colpi con tutta la forza che aveva. Sul pavimento cadevano copiose le sue gocce di sudore. Miste al sangue. Alla polvere. Alla cenere. Alle macchie di alcol. Allo sporco. Muoveva pesanti passi. Ed ogni volta i pezzi di vetro e di scheggie penetravano un pò di più la carne ormai maciullata. Lasciando fuoriuscire ancora del sangue. Sentiva le mani pesanti. Le braccia pesanti. Indolenzite dal dolore. Ma non se ne curava. Spacco uno dei due quadri appesi. Il secondo lo stacco con violenza lasciando cadere un pò vernice. E lo scaraventò in fondo alla stanza. Riprese la mazza da baseball. La portò dietro la spalla. Osservava la finestra a grandi vetrate. Prese lo slancio. E poi. Poi. Si fermò. Prima che il legno della punta, ormai graffiato e pieno di piccoli fori si chiantasse sulla vetrata. Lasciò cadere la mazza per terra. Un rumore sordo si diffuse nella stanza. Sorrise. Si volto verso il letto. Raccolse il piumone pieno di schegge di vetro, legno. Pezzi di vestiti stracciati, cavi elettrici e quanto era riuscito a tirar fuori. Mise con cura i piedi sporchi e insanguinati li dove la struttura di metallo del ltto finiva. Stendendosi dove la testa sarebbe dovuta essere al posto delle gambe e le gambe al posto della testa. Si coprì col piumone fino al naso. Sorrise e si addormento.

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