Fumare. A cosa serviva fumare? Marco avrebbe potuto farci una trattazione intera. Sul perché e sulle ragioni. Sul perché la gente sentiva una spasmodico bisogno di sfogare le proprie tensioni tirando del tabacco bruciato. Buttar via parte del proprio stipendio per un vizio tanto stupido quanto inutile. Il tabacco non era la coca. Non era una marijuana. Niente sballo. Niente estasi. Niente deliri post utilizzo. Il tabacco era semplicemente tabacco, diamine. Tautologico ed essenziale.
Ma nonostante questo la gente continuava a lasciare che ulteriori piccole improbabili speranze di tumore covassero nei propri polmoni. Indiscrete e silenti. Crescendo pian piano, nel peggiore dei casi, senza che nessuno se ne accorgesse.
Marco vi avrebbe scritto un romanzo. Un saggio. Un libro. Fatto un convegno forse. Ma non era quello il momento, pensò.
Sollevò la sua testa che penzolava dallo schienale della sedia e diede una boccata alla sigaretta che bruciava tra le sue mani.
“Ti piace?” disse la voce che proveniva dal mezzo delle sue gambe.
Lui sbatté un paio di volte le palpebre e cerco di capire cosa la cassiera del supermercato di via dei Mille 137 gli stesse dicendo.
“Cosa scusa?” disse come cadendo da un meteorite e sprofondando decine di metri sotto terra.
Luana aveva il suo glande tra le labbra, mentre pian piano lasciava che il piercing della sua lingua lo sfiorasse con lenti colpi ondulatori.
Quando Marco si era presentato alla cassa numero sette del supermercato, era come assorto dalle sue scatole di yogurt dietetico e dalle bottiglie di birra che lentamente scorrevano sul tapis roulant. Stava giocherellando con la birra facendola roteare con le dita man mano che il rullo avanzava. La bottiglia rimaneva sempre allo stesso punto lasciando che le bollicine al suo interno si mescolassero e si agitassero. Quando distolse lo sguardo la distanza che separava dalla cassiera copriva quasi tutto il tapis roulant che nel frattempo si era svuotato. La cassiera lo guardava con aria di sconcerto e quando si voltò indietro vide la coda di gente che attendeva il suo turno spazientita. Giusto dietro di lui una signora, che non nessuno avrebbe giurato potesse avere meno di settant’anni, lo guardava braccia conserte dietro i suoi occhiali color bianco perla e con la bocca impiastricciata di un vecchio rossetto troppo colorato. Lasciando che le sue particelle salivari si accovacciassero sulla giacca di Marco, gli sbiascicò addosso: “Allora giovanotto ha finito o no?”
“Ops!” esclamò Marco, lasciandosi andare ad una risatina stridula.“Si credo di si. Penso la birra sia ben che mescolata ora”. La vecchia non rise. Le restanti otto persone in coda nemmeno.
Mentre percorse il cammino che lo separava dalla cassa, si accorse che la cassiera nel frattempo stava a stento trattenendosi dal ridergli in faccia, lasciando che il sorriso le distorcesse la bocca carnosa.
“Si?” disse Marco, girandola spazientito con aria tra il deciso e l’annoiato.
“Niente” rispose lei.
Benché l’accoppiata Si-Niente, intesa come domanda-risposta uomo-donna, sia tanto sterile quanto vuota, a volte essa nasconde significati ben più intrinseci e nascosti.
Manuale del “Come conoscere una Donna”, capitolo tre, paragrafo otto.
Quello della cassa numero sette, in quel mercoledì pomeriggio era uno dei casi intrinseci e nascosti, tutti da scoprire.
Due minuti dopo Marco e la cassiera stavano ridendo.
Trenta minuti dopo era tornato da lei rientrando nel supermercato, rifacendo l’intera coda con un pacco di carta igienica da dodici dicendole che il suo cane aveva la dissenteria da settimane.
Trentatré minuti dopo stava prendendo il suo numero.
Due ore e quindici minuti dopo Marco stava scoprendo che il suo era Luana e che fare la cassiera in un supermercato di merda nel centro di Milano, non era proprio quello che si aspettava quando aveva intrapreso i suoi studi di giurisprudenza.
Tre ore dopo Marco e Luana stavano facendo l’amore sul suo letto avvinghiati come una pianta rampicante sulle pareti di una casa abbandonata in un bosco.
Lo fecero due volte. Marco ricordò una sua compagna delle medie che faceva sesso allo stesso e identico modo. Muovendo rapidamente le anche avanti e indietro, come un frullatore inceppato, ed un mucchio di fragole al suo interno che non riescono a mescolarsi. Ma tutto quello che gli venne fuori fu “E’ stato davvero stupendo”.
Marco uno. Coscienza zero.
Lei che gli era stesa di fianco, gli bacio il petto, lasciando che la sua mano scivolasse fin giù per l’ombelico, proseguendo giù per il suo pube. Parlarono ancora un po’, di qualcosa che Marco non sarebbe stato in grado di ripetere né ricordare nelle settimane successive. Dopo qualche boccata ad una canna marijuana che lui teneva nascosta nel secondo cassetto della scrivania ed una bottiglia di vino, la loro eccitazione si riaccese. Lo rifecero ancora una volta, fin quando Marco non scivolo sulla sedia lontana dal letto e lei lo raggiunse a gattoni.
Lei lasciò che il suo pene facesse la conoscenza del suo piercing sulla lingua. Marco si lasciò andare ad una introspettiva analisi sul tabacco e le sue ripercussioni sociali. Luana chiese a Marco se gradiva. Marco cadde della nuvole. Ed un auto otto isolati più in la investì un ragazzo in scooter mentre attraversava l’incrocio col semaforo di un colore ibrido rosso-arancio. Forse più rosso che arancio.
Fine del flashback.
Luana si fermò per un attimo e lo guardò dal basso verso l’alto, dal mezzo delle sue gambe. Spostò il membro da un lato, lasciando che le si poggiasse sulla guancia.
“Ti ho chiesto se ti piace?”.
Lo guardava con i suoi occhi neri profondi, lasciando che i capelli gli scivolassero lungo le gambe. Strinse il suo pene un po’ più forte e gli diede un morso.
“Ahia” disse Marco, sollevando di colpo la testa. “Diamine, che male. Ma che ti prende?”
“Non mi hai risposto. Ti ho chiesto se ti piace”ribadì la cassiera.
La sua posizione, penso Marco, li, in mezzo alla sue cosce con il suo pene che le batteva sulla tempia come una bacchetta sulla lavagna, non poteva condurre a nessuna conversazione seriamente coinvolgente e piena di alcuna implicazione. Soprattutto mentre lei continuava a massaggiarlo avanti e indietro con la sua mano piena di braccialetti orientali e anelli da bigiotteria. Così disse quello che pensava, ma che non avrebbe dovuto, e che mai nessuno dovrebbe dire, (Il sesso visto dalla donna, capitolo uno, pagina uno, rigo uno, carattere Times New Roman trentadue, stile grassetto):
“Hey è un pompino, certo che mi piace”.
Un bimbo saltella felice nel bosco tra gli alberi, salta un enorme sasso e precipita in un fosso grande e profondo spuntando in due minuti dopo in Cina. Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno. Pem!.
Marco non sapeva il motivo, ma sentiva tanto di stare saltellando tra gli alberi.
La cassiera alzò il capo, era ancora inginocchiata davanti a lui. Marco la stava guardava un po’ stordito dall’alcol e dallo spinello. Appena finì di pronunciare la sua frase, appena il bambino saltò il sasso per lanciarsi nel fosse, appena Luana si arrestò col suo movimento di andirivieni con la mano che stringeva forte il suo pene; in quel momento, proprio in quel preciso momento, il gruppo in gita di spermatozoi nel museo del suo scroto scelse di scendere dal pullman e godersi la meritata vacanza estiva. Marco lasciò la testa penzolare dietro la sedia e schizzi di gruppi di spermatozoi con cappellino e zainetto si diressero alla scoperta di quella che era la sua camera da letto.
Tappeto. Piumone. Comodino. I capelli della cassiera e quanto più può interessare un girino nascosto da mesi in una sacca buia nel profondo dei pantaloni.
“Ma cosa diavolo…”Luana chiuse gli occhi come se un auto le venisse contro a fari abbaglianti alti, accecandola nel pieno della notte.
“Cazzo”disse Marco. Lasciò che le sue membra cadessero pendenti dalla sedia per qualche minuto e poi piego lo sguardo in avanti ritornando a guardare intorno alla stanza.
Luana si alzò ed iniziò a trafficare tra i suoi vestiti ”Hey ma che ti prende?”
“Mi prende che sei uno stronzo”rispose lei.
Marco osservò le curvature del suo bacino. La sua lunga schiena scivolava lunga fin sopra le natiche, lasciando che due piccole fossette laterali ne segnassero la fine. La sua pelle era abbronzata, probabilmente da qualche centro d’estetica giù in centro e non per qualche settimana trascorsa in una spiaggia sperduta del Sudamerica. Aveva delle gambe snelle e dei piccoli polpacci a forma di fagiolo rovesciato. Segnati, come piacevano a lui. Ne aveva viste di donne così nei porno guardati da bambino. Ancor più in quelli visti in età adulta. Ma una donna era una donna. E Marco ne subiva inesorabilmente il fascino.
Si piegò in avanti poggiandosi sulle ginocchia e diede un’altra boccata alla sigaretta.
“Scusami per prima”cerco di sussurrarle.
“Ti scusi per avermi spermizzata in volto o per avermi ringraziata del fatto che un pompino sia sempre un pompino? No, sai solo per sapere quale delle due mega stronzate ti pesa di più, oh il mio bel playboy”.
“Senti, ti prego, adesso fammi il piacere di non pensare che sia stato speciale” le disse.“Voglio dire sei stupenda. Sei davvero fantastica. Ma non era altro che una scopata”.
Luana che aveva iniziato a rivestirsi lo guardo fisso negli occhi. Aveva già indossato il suo reggiseno e stava infilandosi la gonna del tailleur.
“Ma si può sapere chi cazzo credi di essere? Devo capitare sempre in questo genere di stronzi io.”
Sembrava arrabbiata. E infatti lo era. Marco era un bimbo arrampicato su di una scala traballante con le mani nel barattolo dei biscotti, sperando che qualcuno non entrasse dalla porta e lo vedesse.
“Volevo solo mettere le cose in chiaro da subito. Non volevo, come dire…illuderti”
“Illudermi? Ma di cosa diavolo stai parlando, si può sapere? Mi incontri a lavoro. Mi parli. Mi inviti a casa tua. Facciamo sesso e poi ti improvvisi in questa triste psicologia post orgasmica. Sappi che puoi anche risparmiartela. Non ce n’è assolutamente bisogno”.
Marco la guardava adesso sistemarsi i suoi lunghi capelli rossi che fino a poco prima le cadevano lunghi sulle spalle. Adesso arano racchiusi in un groviglio che sormontava la sua nuca.
“Si infatti era solo del sesso. Niente di più e niente di meno.”disse lui.
Marco sapeva in tutta onestà che quella non era esattamente la frase più adatta da dire in quella circostanza. Ma gli era passeggiata per i corridoi della mente così decisa, rotolando per il dotto nasale, scivolando per la laringe fino ad affiorare dalla sua bocca.
La cassiera gli si avvicino. Barcollava un po’ sui suoi tacchi vertiginosi. Marco pensò alla scena di un porno che aveva visto la settimana prima con Federica. Era sul punto di eccitarsi nuovamente. Aveva quasi voglia di rispogliarla e farci l’amore per il resto della serata.
Lei sposto la sua borsa lentamente da una mano all’altra. Giuntagli a un palmo di distanza lo guardò come si guarda un topo che mangiucchia i resti di qualcosa vicino ad una discarica di rifiuti. E li gli tirò uno schiaffo con quanta forza aveva nelle mani.
Marco barcollò e per poco non cadde dalla sedia. Il suo pene ora ciondolava stanco dal mezzo delle sue gambe, poggiandosi sulla sedia con i suoi testicoli ormai molli.
“Sei solo un povero bambino coglione”. Mentre disse queste parole la cassiera gli teneva il mento tra le mani. Marco poteva sentirne le lunghe unghie smaltate di un verde fondo di bottiglia, ma aveva ancora un orecchio che gli fischiava a causa dello schiaffo.
Lei si volto e senza girarsi indietro si diresse verso la porta ed uscì.
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